Nel dicembre del 1975 il
Presidente e il vicepresidente del "Peace Memorial Museum" di
Hiroshima, invitati da Danilo Dolci, mostrarono ai bambini del Centro Educativo
di Mirto (Partinico) alcuni reperti dell'esplosione atomica del 6 agosto 1945
che, per la prima volta, distrusse una intera città: "Abbiamo portato in
dono le prove di un crimine che tutti hanno voluto cancellare".
Il giornale L' ORA di
Palermo il 18 dicembre 1975 dedicò la prima pagina all'iniziativa di Danilo e
Alberto Spampinato, nelle pagine interne, scrisse un bellissimo articolo.
In quel periodo lavoravo a
tempo pieno nel Centro Studi e Iniziative di Danilo e toccò proprio a me
preparare il comunicato stampa che illustrava l'evento che prevedeva, tra
l'altro, nel pomeriggio - nella sala consiliare del Comune di Partinico - una
conferenza di Danilo sul tema "La lezione di Hiroshima e l'educazione alla
nonviolenza nelle scuole" e la partecipazione di Ignazio Buttitta.
Danilo Dolci, con Aldo
Capitini e Bertrand Russell, sono stati forse gli uomini più impegnati del 900
a promuovere il valore della nonviolenza e della Pace nel mondo.
Come è noto il massimo
teorico italiano della nonviolenza è stato Aldo Capitini (1899-1968) e si sa
che il pensiero e l’opera del filosofo perugino sono stati un punto di
riferimento costante per Dolci. Fin dal principio, infatti, Capitini gli è
stato accanto: dal suo primo digiuno nel 1952 a Trappeto, nel lettino del
bambino morto d’inedia, al famoso “sciopero alla rovescia” del 1956, Danilo ha
trovato nell’autore de Il potere di tutti (1969) uno dei suoi principali
sostenitori.
Dolci è rimasto fedele allo
spirito del suo insegnamento[1] persino quando ha dissentito da alcune sue
posizioni. Basti ricordare, per tutti, il modo in cui Danilo accolse nel 1958
il Premio Lenin per la Pace conferitogli dall’ URSS di Nikita Krusciov.[2]
Partiamo da Capitini allora, anche perché
il suo pensiero – per dirla con Hegel – è più noto che realmente conosciuto.
Esiste un’ ottima antologia sulla sua opera curata da Giovanni Cacioppo.
Peraltro devo a quest’ultimo il mio incontro nel 1975 con Danilo Dolci e la mia
successiva collaborazione con il suo
Centro durata due anni.
In un libro che gli dedica
nel 1958, Capitini scrive: “Danilo è costante nel portare le cose alte a
contatto degli ultimi. Le cose alte sono: l’apertura nonviolenta, le decisioni
esatte, la cultura, l’arte, la musica; egli ha fondato a Trappeto un’università
popolare, costituito una biblioteca ha eseguito con i dischi davanti a
fanciulli e pescatori musiche di Bach,
Vivaldi, Beethoven, Mozart, Brahms […].Gli ultimi sono quelli che non ce la
fanno, i malati, i deboli, i doloranti, i pazzi spesso per denutrizione, le
prostitute, gli sfruttati, le famiglie dei carcerati con i giovanissimi in
pericolo di buttarsi al banditismo, sono i banditi stessi, che Danilo frequenta
e conosce bene (dimostra che sono diventati tali per miseria e disperazione), sono gli analfabeti.
Egli vorrebbe che si cominciasse da loro”.
Danilo Dolci non lo
dimenticherà mai e lo ricorderà, dieci anni dopo la morte, con questi
bellissimi versi:
Aldo:
ne sento il vuoto –
impacciato a camminare
ma enormemente libero e attivo,
concentrato
ma aperto all’angoscia di ognuno,
non ammazzava una mosca
ma era veramente un rivoluzionario,
miope
ma profeta.
(Danilo Dolci, da
Creatura di creature, 1979)
Marco Grifo, in un suo recente lavoro
storico-critico sull’ opera del Dolci, superando nettamente i tratti agiografici che
hanno contrassegnato finora le pubblicazioni
sul Gandhi italiano, ha ben documentato i rapporti di Danilo con B. Russell per
il disarmo nucleare e contro l’ intervento americano nel Vietnam. Memorabile rimane, inoltre, la Marcia per la
Pace e lo sviluppo della Sicilia occidentale che si svolse nel marzo del 1967. Non
si può dimenticare, infine, quanto scrive, già ammalato in un letto di
ospedale, contro le basi NATO alla Maddalena, in Sardegna, sede di sommergibili
nucleari statunitensi, intorno alla quale vige un sistema di servilismo ed
omertà, perché il dominio del complesso militare-industriale agisce come “un
tipico esempio di sistema mafioso-clientelare (segreto parossistico e violento)
a livello internazionale” (Comunicare legge della vita, 1997), contro il
quale è necessario lottare ancora. Del resto, come aveva avvisato già nel 1971
“non è possibile prevedere se gli uomini sceglieranno di sopravvivere o di
suicidarsi: ma se sceglieranno la vita – per paura se non per amore – questa
scelta significherà l’invenzione sempre più scientificamente organica
dell’azione e della rivoluzione nonviolenta” (Non sentite l’odore del fumo?).
E’ troppo ricca la vicenda umana, sociale e
culturale di Danilo Dolci per poterla riassumere in poche righe. La cosa che mi colpì maggiormente di Danilo,
dopo i primi incontri, fu la sua straordinaria capacità di ascolto e di
comunicazione. Parlava poco ma le sue parole colpivano sempre nel segno.
Somigliava tanto il suo modo di comunicare a quello essenziale dei vecchi
contadini da cui Danilo ha appreso tanto ( vedi le sue Conversazioni
contadine, Einaudi 1962). Un elemento portante della sua opera,
generalmente trascurato dalla critica, va ricercato nell’attenzione particolare
prestata sempre, in modo non accademico, alle questioni linguistiche. Danilo ha
compreso immediatamente che - “PER ESSERE INTESO DA GENTE CHE SPESSO SI ESPRIME
PER PROVERBI (…) ED IN UNA LINGUA CHE E’
INSIEME CLASSICA E DIALETTALE” ( Il limone lunare, Laterza 1970, p. 5) - occorre saper parlare con la
stessa semplicità ed essenzialità dei vecchi contadini.
“CU
IOCA SULU ‘UN PERDI MAI”: è questo uno dei più
diffusi proverbi siciliani con cui cozza Dolci, appena arrivato in Sicilia, e
su cui riflette a lungo per capire la
psicologia e la storia del popolo siciliano. Non a caso lo utilizza per intitolare uno dei suoi libri in cui più apertamente affronta il nodo mafioso:
“CHI GIOCA SOLO”, Einaudi 1966.
Danilo sa che dietro al proverbio, oltre ad una concezione del mondo,
c’è la memoria delle sconfitte subite nella storia delle classi subalterne
meridionali, dai Fasci dell’ 800 alle più recenti lotte per il superamento del
feudo e la riforma agraria.
Dolci ha sempre creduto nella forza
liberatrice della parola. Oltre ad essere stato un grande comunicatore, Danilo
sapeva ascoltare e stimolare a parlare come pochi. Nei suoi gruppi di AUTOANALISI
– dai primi, con i contadini e i pescatori di Trappeto, agli ultimi con
i bambini di Mirto – l’esercizio espressivo ha occupato sempre un posto
centrale. Per Danilo ogni liberazione passa
attraverso la potenza espressiva della parola, la stessa scoperta di sé
e del mondo avviene grazie al linguaggio. Basti rileggere, da questa
prospettiva, i suoi libri per verificarlo. Soprattutto nei suoi primi libri
appare evidente come Danilo sia capace di valorizzare il dono naturale della
parola che hanno tutti, anche gli analfabeti: si ricordi, per tutti, la
testimonianza del giovane pastore
Vincenzo che Danilo incontra nel 1956
all’Ucciardone - dove viene rinchiuso per aver organizzato il famoso sciopero
alla rovescia per riparare una vecchia trazzera - e che, non a caso, trascrive e pone come
preambolo al suo famoso Processo
all’art. 4, Einaudi 1956 .
Danilo ha compreso bene la Sicilia e i
siciliani. E, soprattutto, quella parte del popolo che Gramsci chiamava “classi
subalterne”, di cui apprezzava le potenzialità creative. D’altra parte il suo
rapporto con la storia e le tradizioni del popolo siciliano è stato sempre
dialettico. Dolci amava la dialettica non meno dei vecchi braccianti che, come
Fifiddu Rubino, avevano partecipato all’occupazione delle terre incolte.
Ricordo che, conoscendo le mie simpatie per Gramsci e per il giovane Marx, mi
raccomandava sempre la lettura di un eretico marxista come Ernst Bloch. La sua
stessa originale teoria e pratica della nonviolenza ha preso le mosse da una
antica forma di lotta del movimento contadino: lo SCIOPERO ALLA ROVESCIA.
FRANCESCO
VIRGA aprile 2025
[1] Sul tavolo di lavoro di Danilo Dolci negli
anni settanta spiccava la bella antologia di scritti di Capitini, curata e
pubblicata nel 1977 da Giovanni Cacioppo: Il messaggio di Aldo Capitini, Lacaita,
Manduria.